lunedì 16 giugno 2014

Da grande farò... il tronista!

Ti basta sapere il sesso di tuo figlio per tracciarne il futuro. Non sai neppure se sarà biondo, ma lo avrai già inscatolato dentro il suo completo Armani a firmare rogiti. Non ti è ancora stato detto se avrà dei lunghissimi dread a tenergli inclinata la testa, ma già la immagini campionessa di pattinaggio artistico. Non avrai ancora deciso il nome, ma in banca avrai già aperto un fondo universitario. Magari non lo dichiari pubblicamente, ma conservi sotto il maglione i pensieri più oscuri, con la smaniosa intenzione di pensarci ogni sera, di nascosto, mentre ti smangiucchi ben bene le unghie davanti alla replica di Uomini&Donne.
Io fino al quinto mese di gravidanza pensavo fosse femmina. La ginecologa aveva espresso una preferenza e mi ero lasciata irretire al pensiero di poterle infilare tra i capelli mollette fluorescenti, di passarle lo smalto sulle unghie almeno una volta al giorno, di comprarle dodici miniborsette di Hello Kitty. E se è vero che nella pancia ogni nostro pensiero viene trasmesso in filodifussione, mi viene da pensare a questo punto che, sul più bello, si sia fatta crescere il pisello di proposito.
Così, quando il Polpetta si è deciso a mostrare l'attrezzatura da montagna, sono sprofondata nello sconcerto. Tutti i miei progetti andavano in fumo.
Ricordo ancora bene però la prima, primissima cosa, che ci siamo detti io e il Papi mentre andavamo alla macchina: non farà il calciatore. Madre e padre convenivano che mai e poi mai il figlio in arrivo avrebbe dato un calcio al pallone! Una cosa non da poco. E badate bene che il Papi di calci al pallone ne ha dati tanti, ma forse proprio in virtù di questa sua overdose da fischi e cartellini, ha iniziato a negarsi questa opportunità attribuendo attenzioni smisurate ad altri sport quali rugby, tennis, pallacanestro, badminton, scacchi. Tutto quello che non aveva fatto in prima persona, ora si ripresentava come una meravigliosa opportunità.
Io invece, già dopo ventiquattr'ore, avevo scovato sei o sette modelli di jeans decisamente tamarri. A me poco importava dello sport, se proprio dovevo vederlo a San Siro era con una chitarra in mano. Solo l'idea di trovarmi a riesumare calzini da un borsone in grado di emanare lo stesso odore dei fiori del camposanto mi rendeva fortemente irrequieta. Il calcio era stato debellato, pensavo, e il mio cuore poteva tornare a battere serenamente.
E poi è arrivato il Polpetta. Uno che quando vede la palla non cammina, marcia! Uno che parte come un trattore e scaraventa altrove tutti gli oggetti di forma sferica che trova sul suo cammino. Uno che dorme con un pallone di cuoio nel lettino. Uno che davanti alla palla dice mamma e davanti alla mamma dice palla.
Così, io che mi ero illusa dicesse mamma al gatto perché padrone del verbo e del pensiero più sublime, mi accorgo che i figli non sono mai quello che vedi di notte, sotto il piumone, mentre ti smangiucchi ben bene le unghie, ma quelli che vedi di giorno, mentre giocano e si lasciano affascinare dalle scelte che nessuno ha programmato per loro. Mia madre dice "ci si abitua a tutto, anche ai figli" e credo che non esista saggezza maggiore. Io lo guardo e penso che potrebbe appassionarsi al tombolo, alla settimana enigmistica, all'ukulele, e so per certo che imparerei a fare la stessa cosa solo per poterlo seguire da vicino, per non dovermi allontanare troppo, per non vederlo scappare via. Ma anche qui, in realtà, realizzo molto bene che le distanze non sono programmabili, perché la felicità - quella vera - è sempre altrove. Anche perché poi può accadere che te lo ritrovi in televisione, a fare il tronista e, mentre lui - dimentico di avere mai avuto una madre che gli ha aperto un fondo universitario - si limona le trentadue corteggiatrici a sua disposizione, tu lo guardi e ricacci indietro tutti i programmi fatti, non ripensi a quel primo impulso materno, ma lo fissi sorridendo e ti dici che, sì, è proprio come lo avevi sempre desiderato.

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