lunedì 28 luglio 2014

Figliemamme


Parlo a quelle mamme che sono ancora figlie, a quelle donne che hanno la fortuna di diventare madri e accanto hanno la loro stessa mamma che, seduta in seconda fila, fa il tifo e incita e, qualche volta, entra in campo a dare il cambio. Io sono una di loro. E non me ne vergogno affatto, anzi ne vado profondamente fiera. E a mia madre dedico questo post strappacuore.
Sono nata senza superpoteri e non è vero che a diventare madre ti spuntano tutte le forze del mondo. Certo, scopri di avere risorse a cui prima non avevi la necessità di attingere, ma spesso e volentieri la stanchezza supera i livelli e vorresti solo dormire e ti viene pure un po' da piangere e ti giri e la cerchi come un automatismo che nessuno ti potrà mai sradicare. Ti torna su, come i supplì a natale, come un nodo che dallo stomaco sale e proprio non ce la fai a non chiamarla e prendi il telefono e le parli e già la metà delle mosche che ti avevano invaso il cervello muore stecchita. Con la voce da topolino le biascichi un "non sto bene" e lei arriva. Hai trentacinque anni e arriva con la stessa rapidità di quando ne avevi sei e ti dici "cazzo! ma ce la farò mai ad arrangiarmi?" e la risposta la sai già, ma neppure la consideri e forse un po' non la vuoi neanche vedere.
Torni dall'ospedale e sei un po' impaurita perché quel piccolo pesciolino che hai portato a casa sembra non starci poi così bene fuori dal suo acquario e temi - temi ogni giorno - di non essere all'altezza della sua immensa presenza. Lo guardi, ti guardi, lo ascolti e ti ascolti. Non puoi farne a meno perché un figlio ti restituisce la tua immagine, e non è sempre facile starsi a guardare, alle volte fa male. E come dentro un gioco di specchi, ti giri e guardi lei che è sempre lì, un passo indietro. Lei ti guarderà, non si sprecherà in sorrisi, basterà un cenno della testa che sarà sempre in avanti, mai indietro. Respirerai, tirerai su col naso e tornerai dal tuo pesciolino con la stessa velocità con cui lei è venuta da te.
Poi litigherete, furiosamente. Lei ti dirà di fare in un modo - che è il suo - e tu sosterrai di voler fare in un altro modo - che è il tuo. E avrete entrambe ragione, perché nel gioco di specchi i vostri ruoli si confonderanno così profondamente che perderete il segno del tempo.
Vi cucinerà quando non ne avrete il tempo, la voglia e neppure le forze, andrà a prenderlo all'asilo e ve lo terrà quando sarà ammalato. Non farà mai come le avrete detto di fare. Se ne fregherà, esattamente come facevate voi qualche anno prima, quando era lei a dirvi cosa fare.
Qualcuno vi darà della viziata, e sarà solo l'invidia a parlare. Qualcuno si improvviserà psicologo/astrologo/sociologo e sarà solo la menopausa a dare forza a ogni fiato. E voi ve ne fregherete, esattamente come vostra madre vi avrà detto di fare.
Perché dall'amore materno non si deve guarire, e chi vi dice il contrario nutre solo il fastidio di non riuscire ad amare così profondamente.
E quindi posso dirlo una volta per tutte: io non guarirò mai. Sarò sempre fallibile, ingiusta, fragile, inquieta, insicura.
Proprio come una figlia. Proprio come una madre.

venerdì 25 luglio 2014

Mamme (dududu)

Noi donne la complicazione ce la portiamo nascosta in una curva del DNA. Abbiamo l’equazione del caos stampata in fronte, accanto al codice del bancomat. Ecco perché i figli li fanno partorire a noi, perché nasciamo allenate. Il carico dei doveri femminili ce lo infilano dentro, al primo cambio di pannolino. Figlie di generazioni in cui l'ominide di casa doveva essere servito in ogni sua espressione primitiva digeriamo obblighi sociali con la stessa noncuranza con cui ingoiamo l'anestetico dal dentista. Abbiamo madri e suocere che ci ricordano ogni giorno quanto un uomo e una donna siano destinati ad attività diverse e sono sempre compiti che in realtà non hanno nulla a che fare con la capacità umana. Qualcuna prude di fastidio e poi sorride al marito mentre gli stira le mutande, qualcuna invece prova a debellare queste brutte abitudini insegnando al figlio maschio che la lavatrice ha la stessa utilità di una rombante automobile e che per girare il sugo non serve usare un controller della wii.
Noi donne siamo così, il fastidio lo prendiamo come un blocco di pongo e lo manipoliamo con ostinazione, dalla sacca del dolore tiriamo fuori un viaggio, un paio di scarpe nuove, una nuova disposizione dei mobili di casa, un improbabile taglio di capelli.
Una mamma impara in fretta, non si concede il tempo dell’indecisione, perché il tempo dell’indecisione l’ha consumato tutto davanti ai saldi di fine stagione e così si ritrova ad attaccare cerotti come figurine colorate e ad asciugare il pianto con la stessa rapidità con cui maneggiava il phon. Una mamma trasforma i mostri in fiori. Una mamma cucina, lava, stira e si concede pure il tempo di lavorare. Le attività di una madre hanno la stessa portata emotiva di un tir lanciato in autostrada. Se qualcuno si mette di traverso, il rischio di finire inerme come un plaid scozzese è piuttosto alto.
La sera rientra a casa con il mascara raggrumato dentro le occhiaie, prende in braccio il figlio, ingoia quel fiato che odora di latte e saliva con la stessa lieta meraviglia con cui a diciassette anni aspirava il fumo di una canna. Dal divano lancia al marito duecentosei direttive, imbastisce una cena, si passa lo smalto sulle unghie dei piedi, cambia due pannolini, infila sei pigiami (uno sopra l'altro perché presa dalla stanchezza dimentica ogni volta di aver già effettuato l'operazione) e porta a letto il salamino colorato con l'occhio lucido di chi è al primo appuntamento. Poi torna in salotto propone al marito di guardare insieme un film e gli sposta la testa quando, dieci minuti dopo, si addormenta sbavando i cuscini appena presi all'Ikea. Allora si alza, raccoglie i giochi, li ammucchia dentro un contenitore e pensa che sono sempre troppi ma che forse, senza tutte quelle palline e librettini e cavallini di gomma la casa mancherebbe della giusta confusione che si porta sempre appresso l'amore.

Perché il caos è un'attitudine e noi donne ce lo carichiamo addosso con la stessa naturalezza con cui ci incastriamo un figlio su un fianco. Senza fatica e con tutta la meraviglia del mondo addosso.

venerdì 18 luglio 2014

Due dita di brodo

Due dita di brodo. Sono bastate due dita immerse nel lento bollore di qualche verdurina per decretare la fine di un'era. Ho smesso così di essere l'illusionista della mise en place, non ho più improvvisato una cena con una carota e tre bastoncini di pesce, non ho più potuto portare in tavola un panino al prosciutto, ma ho iniziato a mangiarlo in piedi, mentre tra una padella e l’altra facevo resuscitare il passato di verdura, imbastivo tre varianti di carne condita ma non affatto salata, e prendevo possesso del fornello a gas con la stessa sicurezza con cui avrei affrontato un’appendicectomia. Se prima l’unico libro di cucina che mi ero degnata di sfogliare era quello della divina Parodi, e mi era parso geniale impanare un filetto di pollo con il fondo di patatine destinato alla pattumiera, poi mi sono trovata costretta ad acquistare verdure che, nell’illusionismo più avvincente, mi ero degnata di cogliere solo dentro il congelatore del supermercato. Piegata sopra i fuochi di un lento bollore mi specchiavo dentro uno stagno di carote e patate con la stessa aria innamorata di un novello Narciso.
Che si tratti di svezzamento o autosvezzamento, lo spritz delle diciannove diventerà un miraggio, la pizza scongelata tre minuti prima di essere ingoiata perderà la sua efficacia, il kebab ciucciato a bordo strada in piena notte assumerà i contorni sfumati delle memorie più esotiche. In realtà il take away vi salverà dalla fame in molte occasioni, ma sarà consumato a distanza di sicurezza dal pargolo, che verrà invece sfamato con portate insapori e perdutamente sane.
Io ovviamente parlo del primo figlio, perché con il primogenito tutto si misura in ml e cucchiaini da caffè, mentre già col secondo la sicurezza è tale che riuscireste ad imboccare Cracco strappandogli persino un sorriso.
Dal canto suo invece vostro marito imparerà a scongelare il passato di verdura in contemporanea alle alette di pollo e si sentirà esattamente come il Mago Otelma davanti al pubblico in attesa. Tutto subirà un’irreversibile tendenza alla rivoluzione.
Poi, ovvio, lo so, ci sono anche mamme che amano cucinare, che con il bimby hanno fatto un patto di sangue e che riuscirebbero ad imbastire un pranzo per dodici persone con due uova e un kg di farina, ma questi soggetti meravigliosi li avvicino a fatica, ciò che conservano dentro il freezer ha un qualcosa di vagamente simile ai temutissimi xfiles e pertanto se vedo transitare un loro tupperware nutro un genuino tremore alle tibie.


La gioia di cucinare non credo sboccerà mai nel mio capientissimo cuore da mangiatrice seriale. Io adoro cibarmi delle meraviglie altrui, e proprio in virtù di questo mio innato talento, ho assaggiato più volte il brodo senza sale cercando in ogni molecola il gusto della salute. Ho sniffato con altrettanta insistenza la farina di mais trovandola a tratti meravigliosa. La pappa della sera, quella verdina, con un velo di robiola e un punto di olio di oliva la trovo ora a dir poco incantevole. Lecco il cucchiaio del Polpetta e lui mi guarda con aria infastidita, se poi avanza qualcosa perché a lui – maschio anche nello stomaco – la pappa fredda fa pure un po’ schifo, io me la ingoio come un sorbetto.
Mmmmmhhh - dico - lui mi guarda, sorride, ci capiamo sempre io e lui. Allora apro il cassetto, tiro fuori la cioccolata, gliene infilo in bocca un angolino. Mmmmhhh - dice - io lo guardo, sorrido, ci capiamo sempre io e lui.

martedì 15 luglio 2014

Bimbomania

Una mamma esce dal puerperio con la carta di credito tatuata in fronte. A pochi giorni dal parto la pupilla di una neomamma inizia a dilatarsi pericolosamente, la sete di shopping si fa sentire già dopo sette giorni di reclusione e si inizia così ad assumere lo sguardo acquoso di chi comprerebbe anche dodici kg di sarde pur di poter frequentare la cassa di un qualsivoglia negozio. Per risultare più convincente ci si trova a maneggiare il pescetto dichiarando a gran voce: “mi hanno detto che fa tanto bene al bambino”. Si riesce a pascolare tra gli scaffali della farmacia con la stessa morbosa intenzionalità con cui prima ti aggiravi tra i saldi di fine stagione. Che sia un ciuccio o un miniclistere, la busta di carta tra le mani vibra seguendo il ritmo del muscolo cardiaco e corri a casa con l'insensata voglia di scartabellare le istruzioni d'uso. Perché non esiste un solo oggetto destinato ad un elementare quanto adorabile frugoletto che non riporti norme e dettami da studiare con estrema attenzione. In alcuni casi ci vuole una preparazione magistrale e non basta un solo utilizzo - no - alle volte ti incroci con missioni impossibili che nonostante l'impegno e l'ostinazione rimarranno tali.
Il Papi ogni volta che affronta il montaggio del lettino da campeggio straccia con disprezzo la laurea in ingegneria, si rimangia le ore spese davanti ai Lego Technic, assume l’espressione da maestro Shifu e si trancia di netto due falangi.
All'inizio credevo fosse l’inesperienza il generatore di ogni caos, poi ho capito che facciamo parte di un disegno più grande. Ad ogni articolo acquistato -  complicatissimo da montare, da utilizzare e perennemente impossibile da aggiustare - ne segue generalmente un altro che ha le caratteristiche opposte. E' come se ti regalassero la settimana enigmistica senza le soluzioni dei cruciverba e poi però ti proponessero di acquistare quella con le caselle già compilate. Ti dicono che è tutto frutto di una normalissima evoluzione, bene, io non ci credo e da cialtrona di prim'ordine affermo con convinzione che il male si annida esattamente là dove noi versiamo ogni anno le nostre migliori mensilità: dentro gli occhi di tuo figlio.
E' per questo che ti ritrovi ad acquistare un passeggino che monta gli stessi pneumatici di un suv e poco importa se per farlo entrare in auto deve essere smontato in trentadue pezzi distinti, sei talmente obnubilato da quelle pupille color amore che accetti di pagarlo in ottantadue comode rate pur sapendo che inizierai ad odiarlo nel giro di poche ore.

In realtà poi passa - dicono - o comunque tutto si ridimensiona perché quell’impulso da serial killer negli anni si attenua - dicono. Ci possono volere mesi (alle volte anni), ma l’accumulo da bimbomania a un certo punto cessa - dicono. E così improvvisamente un bel giorno il fattorino smette di suonare al citofono, tuo marito riprende a parlarti senza più nutrire gelosie insensate verso il corriere magrebino, e tu alla sera ti assopisci lentamente sul divano e non più davanti all’applicazione di Amazon.
Può essere. Ci voglio credere. Anche perché ho visto che c'è una vendita online di scarpine davvero deliziose, quelle col plantarino interno, e di un pellame che sembra fatto apposta per garantire il massimo comfort al piede del Polpetta e - si sa - con i piedi dei bambini non si può affatto scherzare, quindi mi sa che le compro. Ora. Tanto domani mi passa. Dicono.

sabato 12 luglio 2014

La gramigna e i fiori di campo

Un figlio ti viene fornito senza istruzioni e questo genera mediamente ansia, perché qualche direttiva su come muoversi nel magico mondo dei salamini al latte non nuocerebbe affatto. E allora invochi l'aiuto di internet, ti tuffi nei forum con la stessa foga di un formichiere bramoso e scovi l'inverosimile. I gruppi di mamme disposte a declinare il verbo del fare sono popolati di fondamentaliste al cui cospetto persino uno spavaldo Jeane Claude Van Damme chinerebbe il capo in segno di resa. Che si chiedano delucidazioni in merito all'acquisto di un flacone di crema o all'utilizzo di un qualsiasi sonaglietto da passeggio, il rischio è quello di generare un guazzabuglio verbale. Se poi ti inerpichi dentro questioni come allattamento, svezzamento, vaccini, pannolini, sai già che starai per ridare lavoro a qualche legale prossimo alla pensione. Eppure la condivisione materna fa bene, come tutte le condivisioni in genere, perché c'è sempre chi è transitato per primo ad un incrocio e ti può suggerire la via più comoda da percorrere. Una volta suonavi alla vicina di casa, adesso accendi il pc, è più o meno la stessa cosa. Certo nel secondo caso c'è la variabile - e non da poco - di non dover neppure dire chi sei ed è una libertà maggiore per certi versi, per altri credo che ci privi un po' dello sguardo comprensivo che solo un'altra mamma può dare. Ovvio che sto parlando delle friend mom, quelle mamme che non sono solo capaci ma anche oneste e scevre da qualsiasi forma di giudizio. Quelle che se non riesci ad allattare ti dicono "lascia stare e sii felice", quelle che se allatti ancora dopo i diciotto mesi ti abbracciano con stima e non strabuzzano gli occhi come se avessero incrociato un panda rosso della Malesia. Quelle che se chiami di notte perché il bambino piange vengono - anche di notte - a guardarlo con te, mentre piange.
Queste mamme non le trovi su ebay, ma sono una razza in via d'estinzione. Persino il panda rosso della Malesia se passa una mamma di questo tipo si ferma e lascia la precedenza.
Perché ci sono donne - ma anche uomini - che prima ancora di sentirselo chiedere esprimono e sottolineano più volte il loro parere su qualsiasi altra scelta genitoriale. E' una tendenza umana piuttosto diffusa, il punto però è che a parlar di mobili o automobili il danno è al limite del me ne frego, ma quando il metro di paragone è un figlio il danno è al limite del vaffanculo.
Ci sono contesti in cui la parolaccia aiuta, concedetemelo. Questo è uno di quei casi, perché i bambini non hanno un solo ingrediente uguale a quello di un loro simile, ogni impasto è diverso e ogni impasto richiede una lavorazione altrettanto diversa. Pertanto puoi condividere le tue modalità ma non serve a nulla etichettarle come uniche ed imprescindibili, perché tanto nessuno le utilizzerà mai. Per molti esseri umani evidenziare le inefficienze altrui è indispensabile, senza gli errori degli altri non avrebbero nulla di cui parlare, ma soprattutto non riuscirebbero a placare le insicurezze che segretamente li attanagliano.
Io vi consiglio pertanto una modalità per affrontare cotanta inettitudine: abbracciateli. Alla chiusa del loro monologo, proprio quando abbassano il rastrello con cui hanno pettinato il vostro orticello e mettono via i semini delle vostre insicurezze, ricacciate indietro il desiderio di prenderli a zappate sul naso e abbracciateli. Alcuni si sentiranno appagati, ma la maggior parte di loro si sentirà crescere dentro un livello di imbecillità talmente forte che finiranno per appassirvi lentamente davanti agli occhi.
Le erbacce non si debellano, mischiate però con qualche fiore di campo si perdono e alla fine finisci quasi per non notarle più.

giovedì 10 luglio 2014

Rainbow

Il Polpetta è uno che sulle note di Katy Perry muove passi indisciplinati e smaniosi. Il Polpetta vede Shakira e chiama mamma. Il Polpetta ha una meravigliosa palla rosa. Il Polpetta è un maschio.
Qualche giorno fa chiedevo in prestito a mia nipote i suoi vecchi braccioli da piscina e lei, molto cordialmente, mi scansava dicendo: zia, sono di barbie, non mi pare il caso. Questa mattina una mamma mi ha fermata per discutere del tempo infausto di questi giorni e, mentre si invocava il dio sole – che durante le mie vacanze si è preso a sua volta un inappropriato periodo di ferie – ha guardato il Polpetta pigiato dentro il suo passeggino e ha aggiunto: avrei un bel triciclo da prestarti, ma è rosa, peccato.
Vaglielo a spiegare tu che adori il rosa e che, soprattutto, al Polpetta il triciclo sarebbe piaciuto pure color amarena. Del resto lo scambiano per una femmina quando indossa la felpa blu, gli scarponcini marroni e il tristissimo berretto grigio, un triciclo rosa avrebbe potuto confondere ulteriormente la creatività dei passanti. Saranno i riccioli biondi sulla nuca, saranno le fossette a forma di cuore. Sarà quell’aria da smorfiosa che assume quando vede in lontananza un biscotto al cioccolato. Sarà. Il punto è che ad oggi il Polpetta se la sguazza di brutto tra le coccole della mamma e l’altalena del parco giochi, di tutto il resto non gliene importa nulla.
Possiede una svariata quantità di indumenti blu, ma non si priva del rosso, del giallo, dell’arancione. Il verde è la sua arma vincente, perché di verde vestito sembra un meraviglioso quanto gigantesco bruco da lattuga. Ma se ci scappa una manata di rosa, ecco, non si imbarazza affatto.
Ha una splendida cucina giocattolo e si diverte a tirarmi le pentole. Ha una bambola che scaraventa in giro ed è prossima al ricovero in traumatologia. Ha un cavallino, una macchinina, un camion con il rimorchio. Se al parco giochi vede un monopattino rosa cerca di rubarlo, se vede una palla di Peppa Pig la nasconde nella cesta del passeggino. Non conosce differenze. Non sente il peso di nessun genere sulle spalle. Non si è ancora lasciato tatuare in fronte le regole base che una società ben fatta ti impone.

Presto lo vedrò scansare la bambola, schifare le femmine, idolatrare i gormiti. Lo so. Solo l’idea mi intristisce. Perché quest’ometto bello e puro seduto al mio fianco mi trasmette onde di meravigliosa quiete emotiva. E’ il satellite del mio umore,  e – non neghiamolo – io sono ancora la sola donna della sua vita ed è una sensazione che non conosce paragoni. Ma io punto ad altro. Voglio che la sua scala cromatica comprenda tutto, anche i colori che gli altri giudicano inappropriati, voglio che alzi gli occhi al cielo e si lasci affascinare dall'azzurro immenso del suo spazio infinito, ma che riconosca anche la meraviglia del rosa più puro che si apre alla sera, quando il cielo si piega su di noi dentro un'infinita carezza materna.

lunedì 7 luglio 2014

Non aprite quella porta!

Tutto quello che vorresti dire a chi ti si avvicina subito dopo il parto è: "Allatto. Dorme. Ride. Dimagrirò." e ovviamente ci sono una certa quantità di variabili che non ti consentono di farlo. Le dinamiche più pericolose però non si scatenano in casa e non sono il sonno perso, il pianto e il caos, ma prendono forma nelle perversioni di chi sta oltre l'uscio di casa.
Chi vuol sapere e ti interroga ogni giorno sull'andamento di ogni pasto, sonno, rendimento intestinale; chi vuole esserci e ti bussa alla porta senza invito un giorno sì e uno anche; chi ti vuole ostinatamente aiutare senza che ciò sia stato richiesto e questa di tutte è la peggiore, perché mediamente non si è in grado di spiegare che una mamma - anche la più timida e introversa - sotto l'effetto stupefacente degli ormoni riesce a farsi scivolare fuori le richieste più inaspettate e pertanto chiede e se non chiede è perché non vuole e non volere non significa schifare. 
Una mamma sa esattamente cosa le serve e se avverte la necessità di rimanere in casa a fissare il ferro da stiro con lo sguardo da Harry Potter può farlo. Se invece ritiene di non possedere alcun potere magico che le permetta di allattare e stirare insieme e vuole qualcuno che lo faccia al posto suo, vi assicuro, che lo dirà e chiamerà la mamma? La suocera? La badante rumena del vicino di casa? Oppure - udite udite - lo dirà al marito, compagno, fidanzato, amante. (Perché anche gli uomini possono stirare senza che questo causi loro sterilità, ma questa è un'altra storia e peraltro troppo lunga da affrontare.)

Il punto è che rimanere seduti in panchina alle volte sembra impossibile. C'è questo tenero frugoletto che si ciuccia il pollicce e che vorresti a tua volta ciucciare come una golia. E ti sembra così difficile stare lì ad aspettare e pretendi che questi neo genitori capiscano. E invece no. Non sono tenuti a capire. L'unico obbligo che hanno è quello di dedicarsi al loro nuovo capitolo di vita comune. Date loro il tempo di bussare alla vostra porta, lo faranno - ve lo assicuro - ma solo se non vi troveranno appesi come dei ragni al loro citofono. Perché nel puerperio la regola è una sola: tutto quello che non ci fa stare bene è di troppo.
Ci possono volere settimane, addirittura mesi, ma è una questione di spazi vitali. Guardate gli animali, quanti lupi ricevono la visita di altri lupi che passano a leccare la testolina al lupetto? E se una volta la nuora viveva con la suocera e digeriva il peggio o il meglio di questa convivenza, non è di interesse comune, perché ogni generazione ha le sue privazioni e le sue libertà e non tutto ciò che veniva fatto prima deve essere ripetuto negli anni a venire e finché morte non ci separi.
Quindi, cari mariti che durante l'allattamento non sapete come occuparvi il tempo e vi immusonite sulla poltrona scomoda del salotto, indossate le vesti da guardia svizzera, imbracciate il fucile e mettetevi alla porta a spiare chi si inerpica coraggioso lungo il vialetto, comunicatelo alla compagna e accettate con noncuranza qualsiasi verdetto, se vi dirà di sparare, sparate! Se invece siete troppo buoni d'animo e non ve la sentite di concimare troppo le piante del vicino, imbracciate con la stessa noncuranza l'asse da stiro! Ci saranno meno incomprensioni, meno insistenze, meno sensi di colpa, meno spargimenti di sangue, ma soprattutto più pantaloni con la riga a doppia corsia, che non saranno eleganti ma è un attimo farli diventare di tendenza.

martedì 1 luglio 2014

Non ho l'età



Io ho partorito a 33 anni, che voglio dire è un'età di tutto rispetto. C'è gente che a quell'età lì ha fatto cose mica da ridere.
Il punto è che a me i conti dell'anagrafe non tornavano mai e così ogni giornata si chiudeva con un pragmatico "c'è tempo". Poi è arrivato il Polpetta e la storia è storia, ma il quesito è un altro e ve lo vorrei sottoporre: esiste un'età ideale per diventare mamma?
Di sicuro c'è. Ci sono fior fior di esperti che possono elencarci il perché e il percome di ogni nostro processo fisico, ma il mio è un blog per cialtroni e pertanto procedo con riflessioni del tutto personali.
Penso al Polpetta prossimo ai miei 20 anni e me lo vedo che dorme tra gli scogli, mentre la mamma si insabbia con un animatore decisamente alticcio. Bene, direi che non è un'immagine edificante e pertanto possiamo passare ad altro. Mi immagino quindi madre a 25 anni e mi appare, come dentro a un miraggio, il cerchietto con cui il Papi si sparava indietro i lunghi capelli mesciati e penso che no, non ci siamo ancora. Allora ripenso a quei 28 anni in cui mi sottoponevo ad ore e ore di lettura, prostrata davanti all'immaginetta di Marquez (che non è un calciatore... no, perché dato che siamo tra cialtroni è meglio specificare) e lo invocavo nel tentativo di far scendere in me il verbo, anche un avverbio mi sarebbe andato bene, tanto ero invasata. No. Non era ancora il tempo per procreare. E' che il tempo giusto per procreare, se proprio devo dirlo, io non l'ho ancora individuato.
Qualche giorno fa una mamma, piuttosto giovane, mi ha fatto notare che fare un figlio dopo i trenta è già una cosa al limite, che sei a un passo dall'atto di puro egoismo. C'ho pensato. Sul serio. Mentre il mio karma si fumava ottantadue sigarette io sorridevo e blateravo un etereo "può essere". Del resto le opinioni sono tante e mica me le vado a scartabellare tutte. Le mie ave di allora, alla mia età ,avevano già sfornato cucciolate di animaletti affamati. Le mie amiche di ora cercano invece di giocarsela tutta, prima di consumarsi dietro ad un adorabile quanto pittoresco nano da giardino. Non mi sento di giudicare nessuna delle parti chiamate in causa. Ogni contesto detta una possibilità. Ogni storia è stabilita da una volontà.
Posso però dire - per esperienza del tutto personale - che quella fetta di vita che ho trascorso a pascolare tra le spiagge assolate o consumandomi dentro ai libri di una biblioteca me la sono mangiata di gusto e mi sono anche data il tempo per digerire tutto. Non ho pesi sullo stomaco e non vado a dormire affamata. Il Polpetta ha così incrociato una mamma che forse non lo aveva inserito nella lista delle dieci cose da fare prima di struccarsi, ma che lo ha preso in braccio con la forza di chi ha nuotato parecchio prima di arrivare a riva. E quelle sono braccia forti, mica legnetti da sushi.
Certo, cara giovane ragazza dagli occhi da Hamtaro, il fisico di una ventenne naviga come un motoscafo non te lo posso negare e conosco madri poco più che ventenni che in ciclabile mi doppiano vergognosamente. Così come incrocio spesso certe trentenni che magari se la prendono più comoda, ma che sul loro dodici metri col pupo ci stanno proprio bene.
Il punto è che se alla guida del mezzo non ci metti qualcuno che sa esattamente dove andare poi non è così facile tornare a riva e pertanto non è una questione di età, ma piuttosto di rotta da seguire. Anche perché - dall'alto dei miei ormai prossimi 35 anni - vorrei precisare che ora io non navigo più su un gommone a forma di rana, ma su una fantasmagorica nave da crociera.