sabato 13 giugno 2015

Piove, senti come piove



C'è che decidi di prendere l'estate di petto e imbastisci così il rito dell'uscita dopo cena. La luce si allunga fin quasi a non esaurirsi mai, la gelateria è sempre aperta, il pallone non tiene più una briciola di polvere e la mamma si porta appresso i suoi pensieri senza darli troppo a vedere. Anzi, cerca pure di disperderli nel vento, alzando gli occhi al cielo di nascosto e ripetendosi spesso e volentieri che quel tempo lì è di suo figlio e gli spetta di dovere.
Io stasera mica lo volevo far vagare dentro ai miei cirrostrati, ma solo perchè invocavano pioggia e a noi la pioggia, d'estate, c'ha pure un po' rotto le palle. Soprattutto quella che ti bussa dentro e ti fa piangere, e ti fa dimenticare che da mamma piangere è diverso.
E me lo sono chiesta, circa ottocentoventiduevolte (e mezza), questa settimana. Sì, mi dicevo: ma il Polpetta davanti alle mie lacrime che penserà?
A una mamma è concesso piangere?
E se sì, ci sono dei motivi validi e dei motivi meno importanti, percui, zitta e muta, ingoia e digerisci?
C'ho pensato. Tanto.
E poi m'ha risposto il cielo, stasera.
E così, mentre noi si giocava in tre sul prato del parco giochi con l'anima leggera di chi ricomincia a sentirsi ganzo al punto giusto, uno spettro di duemila nubi nere si è piallato per bene l'orizzonte scaricandoci addosso una bomba d'acqua che neanche l'ultimo giorno di scuola di diciotto anni fa, al parco Santa Chiara, dove ad ingoiarti erano i gavettoni e qualche pomiciata che solo la Nannini avrebbe saputo mettere in musica.
E mentre correvo, a una velocità prossima a quella del suono, sono stata raggiunta dalla cristallina risata del Polpetta. I suoi riccioli che raccoglievano l'acqua, la bocca spalancata e gli occhi, voltati nella mia direzione, che mi guardavano come se quella corsa sotto il diluvio universale semplicemente non dovesse interrompersi mai.
Avevamo la faccia zuppa e poteva essere pioggia, poteva essere pianto. Io in quel momento ero una bambina, una sorella, una figlia, un cuore che come una spugna raccoglie e conserva tutto quello che gli altri gli versano addosso sotto l'onere dell'amore eterno. E il Polpetta era il mio elastico che si tendeva per farmi tornare indietro.
Nel condominio del mio cuore ci si vive in tanti e c'è sempre qualcuno che fa più baccano degli altri e non mi lascia dormire.
Un figlio è quella mano che spinge sul citofono senza mai sbagliare l'interno. E una madre è quella mano che apre la porta un secondo prima che il citofono scivoli dentro la sua solita nota stonata.

Il pianto non è una bestemmia, non è un peccato, non è una condanna. Il pianto si spiega, si giustifica, qualche volta - persino - si insegna, perchè se non soffrissimo non sapremmo neppure amare.

Questo penso.
Forse sbaglio.
Forse no.